Nine Inch Nails: fango, catarsi e distruzione al Woodstock del ’94

Il dietro le quinte degli scatti che hanno fatto la storia.

Gli anni Novanta furono un periodo strano. Dopo che i Nirvana aprirono le porte con Nevermind, il panorama del rock & roll cambiò rapidamente: all’improvviso artisti underground stavano cavalcando un’ondata di visibilità sui mass media e cominciavano a spuntare festival dirompenti come Lollapalooza. Quindi, come meglio celebrare il 25° dalla prima di Woodstock se non lanciando un reboot dello stesso?

Trent Reznor fango Woodstock 1994 by Joseph Cultice
Trent Reznor by Joseph Cultice

Era l’agosto del ’94, tre giorni di festival, di cui due di pioggia. L’intera area era coperta di fango tanto da battezzare l’evento come Mudstock (da mud, fango). Ci sono 350.000 spettatori. Nella line-up compaiono anche i Nine Inch Nails.

Per nulla convinto di quello che gli sembrava un evento banale, Trent Reznor (voce e mente dei NIN) accettò di esibirsi al festival per il solo motivo che la somma offertagli avvrebbe potuto finanziare il tour a venire della band. Cogliendo l’opportunità di raccogliere una grossa somma di denaro in un colpo solo, Reznor sperava che lo spettacolo passasse inosservato lasciando la band indenne da qualsiasi potenziale danno alla sua reputazione. Ma la storia prese un’altra piega. Reznor aveva drasticamente sottovalutato l’impatto che Woodstock avrebbe avuto sulla visibilità dei NIN.

Woodstock 1994 photo by Joseph Cultice
Woodstock 1994. Photo by Joseph Cultice

Quella sera Joseph Cultice, fotografo dei NIN (che li seguirà durante tutta l’era di The Downward Spiral), il quale era sotto effetto di funghi allucinogeni, ebbe la stravagante idea di proporre alla band di lanciarsi in un mud-pit e presentarsi sul palco ricoperti di fango perché così facendo le foto sarebbero uscite pazzesche. Essendo i NIN famosi per il loro impeto distruttivo, l’idea di Cultice risultò in un wrestling selvaggio, nel backstage giusto pochi minuti prima di esibirsi.

NIN in a mud pit. Photo by Joseph Cultice
NIN in a mud wrestling. Photo by Joseph Cultice

Invece di passare inosservata, l’apparizione dei Nine Inch Nails a Woodstock si è impressa nella coscienza del pubblico quasi istantaneamente. Ricoperti dalla testa ai piedi di fango, rivelavano un’immagine drammatica che tuttora conserva il suo fascino. Non diversamente dal 1969, le forti piogge avevano trasformato il parco di Woodstock ’94 più o meno in un gigantesco bagno di fango. E quando i NIN salirono sul North Stage la seconda sera con quella roba incrostata sui loro volti e corpi, somigliavano a figure demoniache – che si adattavano perfettamente al tono avverso e ostile della musica che stavano per sparare dagli amplificatori sulla folla.

Trent mi guarda e sembra voler dire “Fottuto Cultice, cosa stai facendo?” È il concerto più grande della loro vita.

Joseph Cultice

Tutto figo fino a quando il fango, che era nei loro occhi, mani e bocca, seccandosi comincia a creare problemi alla band e agli strumenti che di tanto in tanto smettono di funzionare. Niente di tutto ciò è stato veramente pensato. Trent guarda Cultice e sembra voler dire “Fottuto Cultice, cosa stai facendo?” È il concerto più grande della loro vita. Sono stressati, sono gelati, sono coperti di fango. La loro attrezzatura non funziona. Poteva benissimo segnare la fine della sua carriera da fotografo. E invece la sua idea renderà quella dei NIN una performance iconica.

Il palco viene avvolto dalla nebbia, come sottofondo il riff di “Pinion”, che inizia a rallentare, suonando sempre più meccanizzato, insistente e minaccioso. Un’atmosfera di terrore pervade la scena. Il momento si sviluppa verso un climax squisitamente prolungato. (Più band dovrebbero creare attesa di un tale livello febbrile). E poi, al momento giusto, le cinque figure emergono dalla nebbia, e Reznor stesso srotola il suo corpo in un modo che ricorda gli zombie tornati dall’oltretomba, per poi lanciarsi in “Terribile Lie”.

Trent Reznor by Joseph Cultice

I NIN fanno un gran bordello, sono frustrati, si sfogano e distruggono cose (come d’altronde hanno sempre fatto). Ciononostante la loro performance entrerà nella storia rubando la scena a band del calibro dei Metallica.

L’angoscia – ma soprattutto la vulnerabilità – nella voce di Reznor è vera. Così come la capacità di Robin Finck (chitarra) di tradurre parte del rumore non tonale, in stile industriale, delle registrazioni dei NIN in riff di chitarra creativi. Ricoperti di fango fin negli occhi, regalano un concerto che spacca i culi. Tra i brani è presente anche Happiness in Slavery, estratta dal loro EP “Broken” registrato segretamente. Questa performance vincerà un grammy. Tutto regolare per gli anni in cui stava accadendo.

NIN performing Happiness in Slavery at Woodstock ’94

Nine Inch Nails at Woodstock 1994by Joseph Cultice
Nine Inch Nails backstage at Woodstock 1994. Photo by Joseph Cultice

Il fermento degli anni ’90 e cosa ne resta 30 anni dopo

Una performance del genere oggi farebbe solevare entrambe le sopracciglia, oltre che a venire subito denunciata per incitazione alla violenza. Il punto è che il marchio sfrenato e apertamente violento di negatività, misantropia e odio per se stessi dei NIN era perfettamente in linea con i tempi in cui accadeva.

Per tutti gli anni 90, band come i Nine Inch Nails erano mainstream. L’uomo era virile, erotico e aggressivo, e svelava la sua vulnerabilità attraverso testi cantati burrascosamente. Rabbia, frustrazione e l’atto rivoluzionario che ne derivava, erano crudi e sinceri, e tingevano l’intero decennio regalando capolavori musicali. I festival erano un atto catartico sia per le band che per il pubblico, vissuti nel momento stesso e ricordati per un’intera vita.

Trent Reznor by Joseph Cultice
Trent Reznor by Joseph Cultice
Nine Inch Nails by Joseph Cultice Woodstock 1994
NIN by Joseph Cultice Woodstock 1994

A distanza di 30 anni, la scena musicale del giorno d’oggi è sempre più un trash forzato di atti teatrali, dove la musica è è diventata un suono a supporto di tali apparizioni. Il bisogno di approvazione e la conseguente caccia ai followers ha distorto la motivazione per cui si crea in primis. La musica, uno dei più forti mezzi di comunicazione, ha perso il suo potere virando sempre più verso un atto di autocompiacimento da instagrammare.

Beati gli anni dell’analogico.

Tornando a Woodstock ’94, questo evento potrebbe, e forse dovrebbe, rientrare nei libri di storia in supporto all’evoluzione culturale e al fermento che caratterizzava gli anni 90. Da guardare come fosse un documentario, perchè la musicale, da sempre principale mezzo socialmente accettato di protesta, va a braccetto con il perido storico in cui avviene e ci svela sogni, frustrazioni e paure della società in quegli anni.

Nine Inch Nails at Woodstock ’94 (full concert)